La tregua in Medio Oriente ennesimo capitolo

by | Jul 29, 2021 | Archivo News, Giuseppe Cafiso

 


È arrivata un mese fa, dopo la guerra la tregua tra Israele e Hamas, ma il processo di pace? Nuovamente, sembra allontanarsi in un futuro piano di incognite. La guerra è stata, in parte, dettata dalla politica interna di Israele. Lo scorso 7 maggio, l’attenzione era rivolta sul ballo del potere in cui l’ex Primo Ministro, Benjamin Netanyahu, accusato di corruzione, falliva nel suo ultimo tentativo di formare un governo. I partiti all’opposizione, di destra e sinistra insieme cercavano di formare un loro governo il quale, benché vi fossero idee e ideologie contrastanti, avesse come scopo principale estromettere Netanyahu a qualsiasi costo. Tuttavia costui era deciso a difendere la sua poltrona e il tentativo di espellere famiglie Palestinesi dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarach a Gerusalemme e di inserire coloni israeliani fu l’occasione perfetta per giustificare una rappresaglia contro i palestinesi che eventualmente provocò la dura reazione di Hamas.
Come sia andato il conflitto è largamente documentato; le numerose vittime e le distruzioni che ha provocato hanno nuovamente sconvolto il Medio Oriente. Dopo numerosi giorni di guerra, si arriva a una tregua, senza in effetti cambiare nulla e senza un riconoscimento basilare dei diritti di proprietà dei palestinesi. Questo ci sembra anche il primo fondamentale passo perché il popolo palestinese, costretto ad una dura esistenza, acquisti piena autonomia politica e non sia, come è sempre stato, strumentalizzato da vari Paesi arabi per fini diversi dalla sua causa.
La politica dei coloni è un fenomeno legato al ritorno degli ebrei in una terra ove molti di loro ci sono sempre stati. Tornare, tuttavia, non significa prepotenza verso le altre popolazioni del luogo; in ogni caso è un fenomeno diverso dall’essere popolo ebraico cui la comunità internazionale, nel 1948, ha riconosciuto la legittimità di avere uno Stato così come lo riconobbe, contestualmente, al popolo arabo che stava allora sotto i giordani nella Cisgiordania e gli egiziani a Gaza.
La politica è idealità e concretezza. Possiamo sforzarci di comprendere tutto, ma ci è impossibile trovare una plausibile motivazione che giustifichi gli sfratti di famiglie palestinesi in base a documenti di due secoli orsono o in base di presunti diritti storici. Per le stesse ragioni anche le case abitate dai palestinesi, passate agli israeliani in seguito ai conflitti perduti, dovrebbero tornare agli eredi dei proprietari originari. Insomma, per costruire bisogna dare senso alle cose, quando questo non c’è, tutto può succedere e la guerra, magari in un’escalation di tensioni e di interessi geopolitici complessi, non si sa che piega possa prendere.
Non ha senso richiamarsi alla pace se non si dà senso alle cose che realmente costruiscono i processi di pace e, quindi, di convivenza anche se difficile e complicata perché tutto non si può realizzare in un sol attimo, ma solo con la pazienza e la volontà di smussare con ragione i motivi per conflitti sempre più pericolosi e sempre più coinvolgenti larghe fasce di una zona molto delicata e a rischio permanente. Come quasi sempre l’Europa non batte colpo e gli Stati Uniti fingono che tutto sia stato risolto nel miglior modo possibile.