L’inchiesta azzerò la Prima Repubblica, coinvolgendo leader politici, ministri e managers
Il 17 febbraio 1992, con l’arresto a Milano di Mario Chiesa,
presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio, cominciava l’inchiesta che sarebbe passata alla storia come Mani Pulite. Coordinata dalla Procura guidata da Francesco Saverio Borrelli e dall’aggiunto Gerardo D’Ambrosio e assegnata in prima battuta ai pm Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo, l’indagine mise sottosopra l’intero Paese e ridisegnò la geografia politica italiana, spazzando via Psi e Dc ma non risparmiando neanche altri partiti.
Dopo quella milanese, una settantina di procure in tutta Italia avviarono inchieste sulla corruzione nella pubblica amministrazione. Nessuno venne risparmiato: leader politici, ministri e manager ma anche grossi gruppi la Fiat, l’Eni, la Montedison, l’Enel, l’Olivetti ed anche il gruppo Fininvest. Quella stagione in cui si sono mescolati le speranze di una società rigenerata e il senso di giustizialismo, in cui sono andati in scena i processi spettacolo e un braccio di ferro tra politica e magistratura, ha azzerato la Prima Repubblica ma, è il parere di molti, non il malaffare. Quel periodo oramai è un capitolo scritto nei libri di storia. Restano invece aperti una serie di interrogativi e le mai sopite polemiche sul ruolo delle toghe tacciate di indebite invasioni di campo e di un uso distorto del potere a loro conferito.
I protagonisti di allora o sono scomparsi o in linea di massima hanno cambiato vita. Di Pietro, 71 anni, forse il volto più popolare del pool Mani Pulite, nel 1994 ha appeso la toga da magistrato per poi indossarla di nuovo oltre 20 dopo, ma in veste di avvocato, dopo essere passato attraverso guai giudiziari da cui è uscito indenne e aver calcato la scena della politica ed essere diventato pure ministro. Anche Gherardo Colombo, ora 75 anni, ha lasciato la magistratura nel 2007. Lui però si è dedicato a un’assidua attività di prevenzione della corruzione nelle scuole e di educazione alla legalità. Tra i vari incarichi è presidente della Garzanti Libri e di ResQ People Saving People, una Ong da lui fondata e dal 2012 al 2015 è stato del Cda della Rai. Davigo, invece, l’anno scorso, compiuti i 70 anni, è andato in pensione, nonostante la sua ‘battaglia’ per conservare il posto al Csm, ultima sua nomina, dopo essere stato in Cassazione, alla guida dell’Anm e prima
ancora in Corte d’Appello. Per un certo periodo è stato editorialista al Fatto Quotidiano e tra gli ospiti fissi in alcune trasmissioni tv. Attualmente è imputato a Brescia per rivelazione del segreto d’ufficio per il caso dei verbali di Piero Amara.
Mario Chiesa, invece, dopo aver espiato la pena per la vicenda del Pio Albergo Trivulzio, si è riavvicinato, pur indirettamente, alla politica entrando a far parte della Compagnia delle Opere, l’associazione imprenditoriale di Comunione Liberazione. Ma nel marzo del 2009 è di nuovo arrestato per irregolarità nella gestione dei rifiuti in Lombardia, vicenda per la quale ha poi patteggiato 3 anni e mezzo a Busto Arsizio (Varese). Non molto diversa è la parabola di Gianstefano Frigerio, ai tempi segretario lombardo della Democrazia Cristiana poi riciclatosi in Forza Italia, e di Primo Greganti, il ‘compagno G’, funzionario del Pci-Pds fino a quando si è dedicato agli affari privati: sono stati riarrestati nel 2015 nell’inchiesta milanese sulla cosiddetta ‘cupola degli appalti Expo’. L’ex ministro Francesco De Lorenzo è diventato presidente della Coalizione europea dei malati di cancro, mentre il suo conterraneo Paolo Cirino Pomicino non ha invece mai abbandonato la politica anche se si è allontanato dalla Dc e nel 2019 si è convertito avvicinandosi al Pd. Una nuova vita tra Montecarlo e il Sudamerica è quella di Carlo Sama, imputato nel processo Enimont , imprenditore e manager, sposato con Alessandra Ferruzzi, figlia di Serafino Ferruzzi, e cognato di Raul Gardini. Come presidente di Agropeco, lavora nel settore agricolo e del bestiame. Nel 2016 è stato nominato console onorario del Paraguay nel principato monegasco. Infine Segio Cusani, l’unico, è risaputo, che ha pagato davvero. Scontata la condanna a 5 anni e 10 mesi, di cui quattro in carcere, ha dato un taglio netto con la sua vita da manager. Impegnato nel sociale ad un progetto per il recupero dei detenuti e di finanza etica e ha collaborato con la Cgil come consulente.