Ministro della Giustizia: ‘Non solo i partecipanti’. Trump ci ripensa, non parla nel giorno dell’anniversario. Biden denuncerà sua responsabilità ma crolla nei sondaggi
L’amministrazione Biden “si impegna a portare davanti alla giustizia tutti gli assalitori del 6 gennaio, qualunque sia il loro status, che fossero presenti quel giorno o che siano responsabili penalmente per l’attacco contro la nostra democrazia”: lo ha detto il ministro della giustizia Merrick Garland facendo il punto sull’inchiesta, dopo aver promesso di “proteggere il fondamento della nostra democrazia, il diritto di ogni cittadino a dare un voto che conti”. “Seguiremo i fatti dove portano e l’indagine proseguirà quanto necessario”, ha assicurato.
Il ministro ha respinto le critiche di chi sostiene che le indagini non siano state adeguatamente veloci, intense e pubbliche.
“Per assicurare che tutti i responsabili criminali siano assicurati alla giustizia – ha spiegato – dobbiamo raccogliere le prove. Seguiamo le prove fisiche, le prove digitali, i soldi. Ma la cosa piu’ importante e’ che seguiamo i fatti. Non un’agenda, non una supposizione, i fatti ci diranno dove andremo”. Garland ha riferito che il dipartimento di giustizia finora ha incriminato 725 persone in quasi tutti i 50 Stati Usa e nel District of Columbia per l’assalto al Campidoglio. Di questi 325 sono state accusate di vari reati. Gli inquirenti, ha riferito, hanno emesso 5000 mandati, sequestrato 2000 apparecchi, esaminato 20 mila ore di video e 15 terabyte di dati.
Donald Trump intanto fa marcia indietro. Alla vigilia del primo anniversario dell’assalto al Congresso annulla l’attesa conferenza stampa nella sua residenza in Florida ma nell’annunciarlo rilancia la sua teoria cospirativa delle “elezioni rubate”, definendole addirittura “il crimine del secolo”, mentre un Joe Biden, in caduta libera nei sondaggi, si prepara giovedì a denunciare la sua “responsabilità” nell’ attacco, come anticipa la Casa Bianca. “Alla luce della faziosità e della disonestà della commissione d’inchiesta sul 6 gennaio, cancello la conferenza stampa in programma a Mar-a-Lago giovedì”, spiega il tycoon attaccando i democratici. “E’ ormai chiaro a tutti che i media non riporteranno il fatto che Nancy Pelosi negò la richiesta per la Guardia Nazionale o per l’esercito a Capitol Hill”, accusa, promettendo di parlare di “temi importanti” il 15 gennaio in un comizio in Arizona, che di fatto apre la sua campagna elettorale per le elezioni di Midterm a novembre. Temi ormai familiari a tutti gli americani, dalla rivendicazione della vittoria – nonostante abbia preso oltre sette milioni di voti meno di Joe Biden e perso tutti i ricorsi in tribunale – alle accuse a 360 gradi verso il suo successore, a partire dalla pandemia per passare alla gestione dell’economia e dell’emergenza migranti al confine col Messico. Una campagna “senza precedenti nella storia Usa”, avverte Carl Tobias, docente di legge all’università di Richmond, secondo cui “nessun ex presidente ha tentato di fare così tanto per screditare il suo successore e il processo democratico”.
Tanto che oggi il 70% degli elettori repubblicani pensa che Biden sia stato eletto in modo illegittimo. A spingere il tycoon a fare dietrofront sono stati i malumori di diversi senatori repubblicani, preoccupati che il suo punto stampa avrebbe riportato indietro il partito al dibattito sulle sue false accuse di brogli elettorali. Una pagina che il Grand Old Party vorrebbe girare. Ma forse anche la piega che sta prendendo l’inchiesta della commissione della Camera sull’attacco al Capitol, da cui emergono sempre più prove compromettenti contro Trump e il suo entourage di un disegno apparentemente preordinato. Sviluppi che potrebbero portare a inchieste penali e sbarrare al tycoon la strada di una ricandidatura nel 2024.
Biden e la sua vice Kamala Harris si preparano invece a parlare giovedì ad un Paese diviso nella Statuary Hall del Campidoglio per commemorare “uno dei giorni più della democrazia”, prima di una veglia di preghiera sulla scalinata del Capitol. Il leader dem intende e rilanciare la “minaccia esistenziale” alle libertà politiche che gli americani hanno dato finora per scontate, indicando i fatti del 6 gennaio come “il tragico culmine di quello che quattro anni di presidenza Trump hanno portato al nostro Paese”. Ma forse le parole non bastano più ad un presidente che, secondo un sondaggio di Cnbc, ha chiuso il 2021 col minimo dei consensi (44%, mentre il 56% lo boccia). Biden appare in difficoltà su tutti i fronti, da una pandemia a livelli record ad una ripresa economica flagellata dall’inflazione, sino all’imbarazzante stallo al Congresso della sua agenda bloccata da un solo senatore dem.