Quella mattina di 50 anni fa, il governo socialista democraticamente eletto di Salvador Allende venne rovesciato dall’esercito guidato dal generale Pinochet. Iniziò così una delle parentesi più buie della storia del Paese e dell’intera America latina
Anche se è passato mezzo secolo, la ferita non si è ancora rimarginata del tutto considerato il fatto che da qual momento in poi iniziò la dittatura tra le più feroci della storia contemporanea, durata quasi 20 anni. Tant’è vero che proprio qualche settimana fa il presidente cileno Gabriel Boric ha presentato il Piano nazionale per la ricerca della verità e della giustizia, che mira a chiarire le circostanze della scomparsa o della morte e il destino delle vittime della sparizione forzata della dittatura. I ‘desaparecidos‘, secondo le cifre ufficiali, sono migliaia e non sono stati dimenticati dall’opinione pubblica.
Il Cile prima del 1973
Andiamo indietro nel tempo. Prima del 1973, il Cile era immerso in una profonda crisi politica dovuta alla divisione causata dal governo socialista del Presidente della Repubblica. Il programma di Salvador Allende era quello di costruire uno Stato popolare e un’economia pianificata guidata dallo Stato rifuggendo quella visione di stampo neoliberista che privilegiava gli investimenti privati e il mercato. In coerenza con la sua visione marxista, dopo le elezioni vinte democraticamente nel 1970, Allende che era un medico, aveva attuato una serie di nazionalizzazioni e di riforme considerate radicali. La sua politica aveva incontrato una forte opposizione, avendo causando molti mal di pancia non soltanto a una gran parte del popolo cileno ma soprattutto agli osservatori internazionali, e in particolare alle imprese transazionali. Gli storici ricordano che il contesto peraltro era ancora quello della piena Guerra Fredda, e per questo il governo degli Stati Uniti avrebbe offerto un sostegno seppure mascherato al tentativo di rovesciare il governo cileno: Washington si sentiva minacciata dall’espansione comunista.
Intanto, nelle città e tra la gente comune montava il malcontento, in quanto cominciavano a scarseggiare i beni di prima necessità e l’inflazione sembrava essere fuori controllo. In questo clima, le fila nemiche cercarono di compattarsi e di rovesciare la presidenza. Ci provarono il 29 giugno del 1973, nel tentativo di colpo di Stato passato alla storia come ‘tanquetazo‘, stroncato – ironia della sorte – proprio dal generale Augusto Pinochet.
Ma appena 19 giorni dopo la sua promozione a comandante in capo dell’esercito, fu proprio Pinochet a dar luogo a un nuovo colpo di Stato, che questa volta riuscì. Non fu l’unico a guidarlo: il viceammiraglio della Marina José Toribio Merino e il comandante dell’Aeronautica Gustavo Leigh furono i principali protagonisti. Fino a quel momento, ricordano gli storici, Pinochet sembrava titubante a farlo e si era deciso soltanto il 9 settembre, e quindi appena due giorni prima del golpe, quando Allende gli comunicò che avrebbe indetto un plebiscito per porre fine alla crisi politica.
La ricostruzione della giornata
Quella fatidica mattina dell’11 settembre, Allende venne informato che l’esercito era in rivolta e si recò di buon’ora al Palacio de La Moneda, ossia il Palazzo presidenziale. Poco dopo le 8, iniziò l’attacco e le truppe dell’esercito iniziarono a sparare sul Palazzo. “Pochi istanti dopo, dalla porta centrale della Moneda, entrarono altri 23 uomini, membri della scorta presidenziale, armati di fucili automatici, due mitragliatrici calibro 30 e tre bazooka”, racconta il giornalista Manuel Mejido nel suo libro Esto pasó en Chile.
Alle 11, Allende attraverso una catena di stazioni radio simpatizzanti del governo, rivolse il suo messaggio al Paese: “Lavoratori del mio Paese, ho fiducia nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento sta cercando di imporsi. Continuate a sapere che, prima o poi, si apriranno i grandi viali dove passeranno gli uomini liberi per costruire una società migliore”. Il presidente aggiunse anche che sarebbe rimasto fermo nella sua posizione di “continuare a difendere il Cile”.
Ma dopo poco un’ora, un attacco degli aerei Hawker Hunter dell’aviazione cilena ridusse nel giro di qualche minuto La Moneda (che vantava tre secoli di storia e che aveva ospitato 23 presidenti della Repubblica del Cile) in un cumulo fumante di macerie, tutta l’area era stata circondata da 10 carri armati dell’esercito mentre i gruppi di curiosi venivano dispersi grazie ai colpi in aria sparati dai soldati.
E Allende? Verso le due del pomeriggio, prima che i militari entrassero nel palazzo, si suicidò. È circolata per anni una teoria, in alcuni settori della sinistra cilena e latinoamericana, secondo cui in realtà la sua morte fosse il risultato di un tentativo di suicidio da parte dei militari. Ma a mettere fine alle voci, una sentenza della Corte suprema del gennaio 2014 ha confermato che il Presidente mise appositamente fine alla sua vita. All’interno della Sala dell’Indipendenza de La Moneda, si sedette su un divano, mise il fucile tra le gambe e, appoggiandolo sul mento, lo azionò morendo all’istante.
L’inizio della dittatura
“Missione compiuta. Moneda presa. Presidente morto”. Erano le 14 dell’11 settembre 1973 quando le truppe al comando del generale Augusto Pinochet diedero la notizia: Salvador Allende, il primo presidente marxista eletto dal voto popolare, si era suicidato a La Moneda.
Iniziava così una delle fasi più buie della storia cilena: la dittatura di Pinochet è tristemente nota per la sua brutalità contro l’opposizione e contro i sostenitori di Unità Popolare, il movimento politico che portò Allende al potere nel 1973. Tra il 1974 e il 1977, la DINA, sotto il comando del colonnello Manuel Contreras, agì in modo selettivo e sistematico, prendendo di mira i leader dei partiti politici di sinistra che si nascondevano, portando il numero dei detenuti scomparsi a 1.102 nel 1977. Dal 1978 in poi, la repressione divenne più istituzionalizzata.
Gli osservatori internazionali ricordano che le violazioni sistematiche dei diritti umani rappresentavano un modo per reprimere i movimenti sociali e politici che chiedevano il ritorno alla democrazia e continuarono fino alla fine del regime militare. Nel 1990 l’11 marzo Patricio Aylwin riceverà da Pinochet la fascia presidenziale, per aver vinto le prime elezioni democratiche del Paese dopo quelle vinte da Allende nel 1970. In realtà Pinochet aveva anche indetto un plebiscito per decidere se sarebbe rimasto al potere, ma il No finì per vincere seppur non con un ampio scarto e lui si dimise. Venne nominato senatore a vita nel 1998 e morì nel 2006 all’età di 91 anni senza aver mai messo piede in una prigione o in un’aula di tribunale.
I numeri dicono che in quei 17 anni di dittatura, almeno 3.200 persone sono state uccise o scomparse e di queste, le vittime di sparizione forzata sarebbero 1.469, di cui 1.092 detenuti e 377 giustiziati politicamente senza che i corpi siano stati consegnati. Ma i numeri non sono ancora definitivi. Secondo alcuni rapporti, sarebbero addirittura più di 20 mila le vittime della repressione dittatoriale. La giustizia ha iniziato a indagare sulle violazioni dei diritti umani nel 1998. Circa 250 agenti che erano ‘attivi’ ai tempi della dittatura, tra cui i responsabili della tortura e dell’omicidio del popolare cantautore Víctor Jara, sono stati condannati e sono attualmente in carcere.
Il Cile, oggi
Oggi in Cile il 79% dei 20 milioni di abitanti è nato dopo il colpo di Stato militare. Secondo l’istituto di sondaggi Activa Research, infatuati della democrazia, il 60% dei giovani ha un’opinione negativa di Pinochet, contro il 12% che ha un’opinione favorevole.
Eppure è stata proprio questa nuova generazione a compiere nel 2019 una rivolta contro la disuguaglianza sociale, puntando il dito contro l’eredità di Pinochet e la Costituzione ultraliberista nata sotto il suo regime. Questa rivolta ha portato al potere il giovane presidente dell’Unione della Sinistra, Gabriel Boric, sprezzante nei confronti dell’ex dittatore.
Mentre Boric ha portato al governo gli eredi politici di Allende, è l’estrema destra ad aver guadagnato forza. Il partito repubblicano ultraconservatore, apertamente nostalgico di Pinochet, ha vinto le ultime elezioni per guidare un processo di nuova costituzione.
Il divario si sta allargando anche dal punto di vista politico. L’opposizione di destra si è astenuta dall’aderire all’impegno di “difendere la democrazia contro le minacce autoritarie” promosso dal presidente Gabriel Boric e firmato da quattro ex presidenti post-dittatoriali.
Per quanto riguarda le figure di Allende e Pinochet, la società cilena è divisa su queste due figure. Il 40% ritiene che Allende sia stato comunque responsabile di aver condotto il Cile al colpo di Stato, mentre il 50% è profondamente contrario al regime imposto dal generale.