I finanzieri del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo hanno bussato alla sua porta mostrando un ordine di custodia firmato dalla procura generale di Caltanissetta. Ma lei non era lì, bensì in una clinica palermitana. Silvana Saguto, fino al 2015 la giudice più influente dell’antimafia, è stata arrestata. Dagli stessi investigatori del Gruppo tutela spesa pubblica che nove anni fa iniziarono a indagare sulla gestione scandalosa dei beni sequestrati alla mafia. La procura generale nissena ha dato esecuzione alla sentenza d’appello anche per il marito di Silvana Saguto, per l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara e per il professore Carmelo Provenzano.
All’epoca, Silvana Saguto era la presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, oggi è solo un’ex giudice, radiata dalla magistratura e da ieri condannata definitivamente per alcuni pesanti reati: corruzione e concussione. Per altri reati minori, la sesta sezione della Corte di Cassazione ha deciso che dovrà essere celebrato un nuovo processo alla corte d’appello di Caltanissetta, per rideterminare la pena. Ma, intanto, si aprono le porte del carcere per Silvana Saguto. E si chiude un’era.
Ha segnato un prima e un dopo nell’antimafia l’inchiesta coordinata dalla procura di Caltanissetta. Ecco cos’era diventata la gestione dei beni sequestrati: “Un quadro di desolante strumentalizzazione della funzione giurisdizionale — lo hanno chiamato i giudici — a favore di una gestione privatistica, caratterizzata da un intreccio di rapporti personali e di condotte fondate sul dato costante dell’assoluta marginalizzazione dell’interesse pubblico connesso alle funzioni giurisdizionali”.
Un “sistema” di segnalazioni e raccomandazioni per le nomine nella gestione dei beni sequestrati. E ora è la giudice ad andare in carcere. Assieme al suo cerchio magico.