L`eccidio dei tedeschi a Crespino Fantino
Lozzole e Campergozzole
di Rodolfo Ridolfi
Il 17 luglio ‘44 a Monte Lavane (Marradi) gli alleati effettuarono un lancio di armi, munizioni e vestiario destinati ai partigiani che, attaccati da ingenti forze nazifasciste, ingaggiarono un duro
combattimento di otto ore cui partecipò insieme alla banda Corbella, come (lui) la chiamava, l’ufficiale Usa, Chester Kingsman, salvato a Pian delle Fagge. Quello stesso giorno ed il giorno successivo, a Crespino, antico Borgo di incontaminato verde, di acque limpide e di quiete, sorto i ntorno all’antica abbazia vallombrosana di Santa Maria a Crespino sul Lamone, si consumò un’assurda tragedia.
I nazisti si macchiarono dell’orrendo crimine di strage che non risparmiò neppure Don Fortunato Trioschi, arrestato insieme ai suoi parrocchiani e costretto a scavarsi la fossa prima di
essere trucidato. I fatti sono da inquadrare nella recrudescenza nazista che in seguito alla caduta di Mussolini e all’8 settembre ’43 avevano fatto scattare “l’operazione Alarico” l’invasione e
l’occupazione militare dell’Italia. Insieme a Don Trioschi, il 17 luglio, furono uccisi sul greto del Lamone, dove oggi sorge il sacrario, Luigi e Vittorio Bellini, Giuseppe e Lorenzo Ferrini, Giovanni
Malavolti, Giuseppe e Guglielmo Nati, Angelo, Attilio Lorenzo fu Luigi e Lorenzo fu Pietro Pieri, Giuseppe Barlotti, Dante Chiarini, Pietro Tagliaferri, Ottavio Scarpelli, Luigi Vinci, Gherardo Visani,
Adolfo Rosselli, Sante Bosi, Giulio Sartoni, Bruno Santoni e due persone non identificate. Abramo Tronconi fu fucilato a Fantino. Alfredo Beltrami, sua moglie Cecilia, e la figlia Lorena, furono fucilati
il 17 luglio nel podere Il Prato con Alfredo Righini fucilato nell’aia. I Beltrami erano, padre, madre e sorella di Umberto il partigiano di cui Pietro Monti, detto Marconi, definito da Arturo Frontali, come
il testimone che tutto ricordava della strage di Crespino, racconta: “Ha preso una bomba a mano e gliel’ha tirata (alla Croce Rossa) ed ha ucciso il tedesco ed insomma tutti e due, l’autista ed il ferito”.
il 18 luglio1944 con una raffica di mitra venne ucciso da un soldato tedesco che l’aveva sorpreso mentre portava cibo ad un partigiano ferito e ricoverato in un capanno da caccia, il proprietario di Campergozzole, Francesco Naldoni, classe 1882, diplomato nel 1904 al Liceo Torricelli di Faenza, che aveva trascorso la sua vita coltivando il podere. sempre il 18 luglio nel podere I Mengacci, di proprietà di Giovanni Buccivini Capecchi, i mezzadri, Francesco Botti, suo figlio Bruno diciassettenne, il quindicenne Pierino Caroli e suo padre Vincenzo, che era iscritto al partito fascista e che mostrò invano ai tedeschi la tessera, furono trucidati nonostante il disperato tentativo della coraggiosa mamma Palmira Gentilini Botti che, con le lettere dei figli militari in mano, cercava di far capire ai tedeschi che i suoi famigliari non c’entravano con i partigiani. Giuseppe Caroli e Adele
Donatini furono fucilati al Cerreto di Fantino lo stesso giorno come Dionisio Rossi. Carlo Quadalti, contadino della Casa Nuova, fu fucilato quello stesso giorno nel podere La Castellina dove si trovava
per la mietitura a dare una mano ad Arturo Raspanti. La Wehrmacht aveva stabilito il proprio comando a Crespino, nella villa di Carlo Mazza, proprietario terriero della zona. I partigiani che operavano
nell’area, ed ai quali erano associati i giovani renitenti alla leva repubblichina sbandati, erano quelli della 36a Brigata Garibaldi
Alessandro Bianconcini. Valeria Trupiano nel suo pregevole lavoro. A
sentirle sembran storielle Luglio 1944 La memoria della strage di civili nell’area di Crespino del Lamone del 2008 riporta quanto contenuto nel bollettino partigiano della Bianconcini datato Imola
21 ottobre 1945. Ventotto pagine consegnate alla Trupiano dall’ex partigiano Bruno.
Il bollettino, con la relazione ufficiale, contiene il diario delle azioni e dei sabotaggi giornalieri operati
dalla brigata, gli spostamenti, le imboscate, le catture ed uccisioni di nazisti e spie fasciste, gli attacchi
e le uccisioni di partigiani e di civili da parte dei tedeschi. A proposito della giornata del 17 luglio tra le varie azioni partigiane realizzate nel territorio viene descritta la seguente “Elementi misti delle
compagnie di Paolo e di Marco attaccano il traffico sulla strada Faentina. Un automezzo tedesco distrutto, 2 soldati uccisi e sei feriti. Da parte nostra un ferito. A seguito di tale azione i tedeschi per
rappresaglia massacrarono 35 coloni raccolti nei dintorni. La versione partigiana ha molto in comune con quella raccontata dagli abitanti di Crespino. Nel libro di Don Bruno Malavolti Estate di Fuoco, nella parte di Arturo Frontali che ricostruisce i fatti attraverso le testimonianze, si fa capire che alcuni giovani partigiani e soldati sbandati, dopo l’8 settembre, continuavano ad appoggiarsi al paese e al podere dei Mengacci. Verso la fine di aprile, alcuni di questi partigiani uccisero due tedeschi in località Casaglia. Sembra che una delle vittime fosse il comandante di un gruppo appartenente alla
Marina tedesca, che era acquartierato a Villa Ersilia a Marradi. L’episodio, tuttavia, rimase impunito
per l’intercessione di una nobildonna tedesca sfollata a Ronta che ebbe il merito di convincere gli occupanti a stipulare con il paese una sorta di patto di tregua. L’accordo venne tuttavia violato dai
partigiani del posto che ai primi di luglio, presso il ponte di Spedina, catturarono altri due soldati,
scaraventandone uno da un burrone e lasciandosi scappare il secondo che, raggiunti i suoi commilitoni, dette l’allarme. Successivamente, la mattina del 17 luglio, la stessa banda, appostata su una collinetta,
attaccò una pattuglia tedesca uccidendo un soldato e scagliando una bomba a mano contro l’autoambulanza sopraggiunta dal vicino ospedale militare di Villa Fantino. Il 17 luglio, dopo appena
un’ora dall’agguato, una seconda pattuglia tedesca, rinforzata da squadre provenienti da Marradi, arrivava sul posto, interrogava due contadini intenti alla mietitura, mentre uno affermava di avere
visto i partigiani imboscarsi e fuggire dopo l’attentato, l’altro taceva e veniva ucciso perché ritenuto complice. La rappresaglia partì poi dal podere Prato con lo sterminio dell’intera famiglia Beltrami,
cui apparteneva uno dei partigiani responsabili dell’attacco. I tedeschi rastrellarono tutti gli uomini che trovarono, li raccolsero presso Villa Mazza, sede del comando, poi li trasferirono sulle rive del Lamone e qui li fucilarono. Soltanto uno dei prigionieri, Giuseppe Mariano Maretti, sopravvisse all’esecuzione, morendo poi nel 1948 in seguito alle ferite riportate quel giorno. Convocato il parroco, Don Fortunato Trioschi, e altri due contadini sul luogo dell’eccidio, i tedeschi li costrinsero a scavare una fossa e li fucilarono sul posto. Il 18 luglio l’operazione proseguì a Fantino con l’invasione di casa
Caroli, in località Mengacci: gli uomini, quattro, furono trattenuti nell’edificio, mentre le donne e i bambini furono portati, attraverso il castagneto, in una grotta naturale e lì sorvegliati con una
mitragliatrice. Quando le donne ed i bambini, che erano stati rilasciati, tornarono verso il podere in fiamme, trovarono una scena agghiacciante: due uomini assassinati con il colpo di pistola alla nuca e
due legati ai materassi e asfissiati. Un altro reparto, nazifascista, frattanto, era impegnato nella ricerca e nell’assassinio di contadini rimasti a Castellara, Castellina, Cerreto, Lozzole e Campergozzole. La
mattanza si concluse la sera del 18 luglio, con un bilancio di 44 vittime nell’area Crespino, Fantino e Lozzole. Anche se la documentazione tedesca non fa espressamente riferimento alla strage, sembra
di poter ricostruire la presenza sul territorio di unità di polizia tedesca o miste italo-tedesche, come il III Polizei Freiwilligen Bataillon Italien, il cui trasferimento presso l’Appennino è dato certo. Da
allora ogni anno si commemora l’eccidio con una testimonianza che si rinnova per sottolineare come
la gente di Marradi e della Valle del Lamone non dimentica il sacrificio di quanti, consapevoli ed
inconsapevoli, si immolarono con la stessa dignità e fierezza che molto tempo prima i loro padri, il 24 luglio 1358 alle Scalelle, avevano dimostrato fermando la compagnia tedesca di ventura del conte
Lando. Nella memoria comune, i partigiani avevano, come ha riportato nel suolibro Valeria Trupiani, “le loro colpe: rubavano in casa dei benestanti, ostentavano simboli comunisti compiendo operazioni
contro i soldati tedeschi senza avere il corraggio di affrontarli a viso aperto”. Tuttavia la Trupiani ha anche aggiunto: “Quei giovani, che abbiamo denominato, così detti partigiani, avevano il diritto e il
dovere di nascondersi tra le montagne per non farsi catturare e rischiare la morte o la deportazione in Germania”. Forse la strage sarebbe accaduta lo stesso ma in quelle vicende i partigiani non ebbero un comportamento esemplare, nè tanto meno eroico. Eppure certa retorica ideologica nelle ricorrenze degli ultimi anni ha rimosso parte della verità storica, o parte dei pregiudizi. Ricordo quando
Domenico Vanni, che come vice sindaco di Marradi e deportato a Mauthausen aveva titolo istituzionale e morale per partecipare alla commemorazione, raccontava che al pranzo con il vescovo
gli “girarono il piatto”. I tempi sono cambiati i crespinesi che si opposero duramente, nel 1964, quando l’Amministrazione Comunale inaugurò la parte superiore del sacrario, all’affissione dei
manifesti dell’ANPI in cui c’era scritto W i partigiani, W la Resistenza, convivono con labari, medaglieri dell’ANPI e garibaldini ed ai buffet, preparati con cura dalle donne di Crespino, nessuno
più si vede girare il piatto. “Sic transit gloria mundi”.
Rodolfo Ridolfi 13 luglio 202