Bande nere nelle porte del Mundial 1978, protesta nascosta per ricordare i desaparecidos

by | Jan 19, 2022 | Argentina, Canada, Nicola Sparano | 0 comments

Il dolore nascosto  nelle  bande nere nelle porte di calcio

(Nessuno si rese conto che i pali “a lutto” denunciavano la scomparsa di 30.000 giovani argentini)

di Nicola Sparano

C’e’ stato un mondiale in cui i pali delle porte erano listati a lutto.

Erano in pochi a sapere cosa rappresentasse quel segno nero alla base dei legni.

Erano sotto gli occhi di tutti, ma nessuno ne capi’ il significato che fu svelato molti anni dopo.

Io c’ero quella volta in Argentina.

Era il Mondiale del 1978.

I pali listati a lutto li avevo visti di persona dalla tribuna stampa prima dello Estadio di Mar Del Palata, poi dal Monumental di Buonos Aires.

Ma non ci avevo fatto caso, non avevo capito, come tutti del resto, il significato di quelle bande nere alle basi dei pali.

Soltanto pochi argentini sapevano che era un gesto di protesta contro il potere del dittatore sanguinario.

Simboleggiavano le fasce nere del lutto, quelle che i giocatori usualmente portano al braccio per onorare la memoria di un grande personaggio.

In Argentina erano gli anni dei desaparecidos, gli scomparsi, vittime bianche della feroce dittatura.

Erano in trentamila, trentamila, i giovani svaniti dal nulla lasciando le madri senza una tomba su cui piangere.

Erano oppositori di Jorge Videla e dei suoi sanguinari compari della Giunta.

Il fior fiore della gioventu’ argentina venne presa, torturata e fatta sparire in mare gettando i poveracci, ancora vivi, dagli aerei.

Erano i voli della morte.

Tutti sapevano, nessuno pero’ osava denunciare la strage in corso.

Si trovo’ comunque un modo segreto, un segnale mascherato da scaramanzia, per segnalare l’eccidio.

Alcuni oppositori amici e colleghi delle vittime avrebbero preferito che la nazionale scendesse con il lutto al braccio per ricordare i desaparecidos.

L’idea venne accantonata.

Era troppo pericolosa per i nazionali, poteva essere mortale.

Videla non avrebbe tollerato l’omaggio a coloro che aveva fatto gettare in mare da diecimila metri.

Allora qualcuno ebbe l’idea del nastro adesivo nero alla base dei pali.

“Non avremmo potuto mettere striscioni o cose del genere – racconta uno degli ideatori -, ma doveva essere qualcosa comunque ben visibile alle telecamere e ci inventammo le fasce nere alla base dei pali in signo di lutto. Ai militari che ci chiesero il perche’ spiegammo che era un gesto scaramantico e ci lasciarno fare”.

Il nastro era posizionato a circa appena sopra l’erba ed aveva un’altezza di circa 10 centimetri.

I pali vennero listati a lutto sui sei campi dove ebbe luogo il mondiale senza che Videla non ci fece caso, lui e quelli della giunta non capivano nulla di calcio.

A quei segni neri sulla porte non ci fece caso nessuno, neanche la stampa internazionale che normalmente scova tutto e di piu’.

Nessuno fece lo scoop, quei segni neri erano un’anomalia cui nessuno fece caso.

Eppure erano sotto gli occhi di tutti a cominciare da Italia-Francia, stadio Mar del Plata, 2 giugno 1978.

Il primo gol di Italia-Francia si infilo’ radendo la parte nera del palo alla sinistra di Zoff.

Erano tascorsi 40 secondi – Francia 1-Italia 0 – poi per fortuna Paolo Rossi e Zaccarelli ribaltarono il risultato e tutto lo stadio esulto’.

Gli argentini facevano il tifo per l’Italia, il gol di Lacombe era venuto immediatamente dopo l’inno nazionale.

Personalmente non sapevo cosa aspettarmi dal pubblico che gremiva gli spalti dove la presenza di militari armati di mitra era numerosa.

L’inno nazionale fu cantato da tutti con la mano sul cuore.

Nessuna protesta pero’, nessun disordine.

Col senno di poi mi rendo conto che nello stadio i versi dell’inno venivano intonati con angoscia, dolore e disperazione.

L’Argentina di quei tempi era un polveriera.

Prima di volare a Baires avevo comprato una polizza assicurativa all’aeroporto: 20 dollari per un milione di dollari in caso ci avessi rimesso la pelle, 250.000 se venivo ferito mentre seguivo una partita.

Non ne ebbi bisogno.

L’unica volta che sfiorai l’incontro ravvicinato con i militari fu quando Jim K., il collega del Toronto Star, fini’ nelle grinfie della polizia segreta per aver cercato di rimorchiare una ragazza in un bar dove aveva fatto il pieno di birra.

Jim fu preso e portato in uno di qui posti dove radunavano le persone da far sparire.

Per sua fortuna, dopo aver preso un sacco di botte, risci’ a tirare fuori l’accredito al mondiale dimostrando di essere un giornalista.

Lo lasciarono andare, poi mi disse: “L’ho scampata bella, d’ora in poi in Argentina non bevo piu’”.

A Mar del Plata ero nello stesso albergo di Gianni Brera.

Avevo gia’ incontrato il celeberrimo giornalista quattro anni prima, al mondiale del ’74 in Germania.

Quella volta, dopo Italia-Haiti vinta dagli azzurri per 3-1, mi disse dall’altro lato della scrivania: “Giovane collega, con questa squadra non andremo lontano”.

Infatti, finimmo eliminati al primo turno.

In Argentina vedemmo un’Italia mai vista fino ad allora, era la base di quella che quattro anni dopo in Spagna si sarebbe presa il mondo.

Dopo il 2-1 ai franciosi, tre palloni si infilarono nei pali listati a lutto dell’Ungheria, uno all’Austria, uno finanche all’Argentina.

“Non importa, ci vediamo in finale”, commento’ un collega argentino dopo il gol di Bettega.

Profezia sfiorata ma incompleta.

L’Italia fu bruscamente fermata in semifinale dagli spocchiosi olandesi che misero in croce Dino Zoff e tutto il popolo azzurro grazie a due tiracci da 30 e passa metri.

In quel match reagii agli insulti di un giornalista olandese prendendolo per il collo, minacciando di gettarlo dalla finistra che era ad almeno 30 metri dal suolo.

L’olandese esultava definendo agli azzurri maccheroni e mafiosi.

I mafiosi erano stati loro, in quella partita Neeskens ha sempre malmenato Paolo Ossi, anche quando la palla era lontana, senza che l’arbitro facesse un piega.

L’Olanda raggiunse la finale neutralizzando con le cattive il nostro Pablito, ma a loro non ando’ meglio.

Perche’ persero con l’Argentina una partita che praticamente avevano gia’ vinto.

Al 90′ una palla di Resenbrink colpisce il palo, quasi all’altezza del famoso segno nero, resta fuori, poi nei supplementari l’Argentina si prese il suo primo mondiale.

A dirla tutta, quel sucesso in parte e’ da attribuire a Videla.

L’Argentina per arrivare in finale avrebbe dovuto battere il Peru’ per almeno 4-0.

Prima del match Videla si reco’ nello spogliatoi dei peruviani per gli auguri di rito.

Va notato che Videla era un personaggio che intimidiva senza parlare, minacciava con la sola presenza.

Inoltre nella ricorcostanza era accompagnato da Herry Kissinger.

Che ci faceva il faccendiere americano, puparo di molte trame politiche, con Videla nello spogliatoi del Peru’?

Sia come sia, l’Argentina vinse 6-0 e ando’ alla finale al posto del Brasile.

A quella finale io non c’ero e non c’era neanche Gianni Mina’.

Mina’ fu l’unico giornalista con le palle che durante una conferenza stampa oso’ chiedere dei desaparecidos.

Venne prima redarguito, poi espulso per aver condotto delle indagini in merito.

Il mondiale del ’74 si chiuse con Jose Maria Munoz, il telecronista della tv di stato, che urlava nel suo microfono: “Questo e’ un paese. Questo e’ un paese meraviglioso”.

Quella di Monoz era una grossa bugia, oggi si direbbe una fake news.

L’Argentina e’ sempre stato un paese meraviglioso, eccetto in quegli anni di brutale dittatura.