Il Giro davanti a casa mia
Pedalando a ritroso coi ricordi Un lampo, ma e’ bastato a scatenare il fash back dei ricordi.
Il Giro e’ transitato davanti a casa mia, i nove della fuga sono stati i primi a pedalare per quella che ai tempi della mia fanciullezza si chiamava ancora Via Starace.
Poi la targa del gerarca fascista fu abbattuta e al suo posto subentro’ Caio Ponzio Telesino, il generale sannita che la leggenda vuole abbia sconfitto le legioni romane alla Forche Caudine.
Non avevo mai visto la “mia” strada vestita a festa, con la transenna rosa adornata di palloncini dello stesso colore.
Normalmente fa da comprimaria al piu’ celebrato Viale Minieri che termina davanti alla Terme e poi si sdoppia, per cosi’ dire, girando a destra per Via CP Telesino, a sinistra salendo verso il Grand Hotel.
I commentatori della Rai, bravissimi nel descrivere la corsa, hanno accennato solo en passant a Telese Terme e mai, a quanto mi risulta, alla sua famosa acqua solfurea, al suo bel lago, o al Grand Hotel.
La corsa rosa e’ transitata in un lampo davanti alla villetta dove sono cresciuto, ma e’ bastato quel lampo a farmi venire una voglia struggente di quell’acqua, dal gusto e odore particolare,
che ho bevuto da ragazzo.
Non avendo la materia prima ho fatto ricorso a due uova sode che, sbucciate, sprigionano proprio l’odore caratteristico dello zolfo, sgradevole per tutti, eccetto per il telesini doc.
Dal naso al cervello, la particolare esalazione ha funzionato da macchina del tempo a marcia indietro.
Il film del passato ha tanti fonogrammi: le Terme, il Lago, le partitelle di calcetto sul “lavuozzo”, le partite vere sul campo di terra sterrata dove lasciavi mezzo metro di pelle appena cadevi perche’ sotto la povere c’era la rudine, roccia friabile ma affilata.
Dietro il campo di calcio ci sono le Terme e sopra c’e’ il Monte Pugliano dove andavano a dormire i malvizzi (tordi) dopo aver banchettato cone le olive ed il grano della Piana.
Quegli squisiti uccelli, ai miei tempi, erano nel mirino di zi Peppe, zi Ndonio, zi Nicola, zi Maurino, zi Leopoldo, zi Augusto, zi Giovanni.
Era l’epoca in cui ai ragazzi veniva insegnato che tutte le persone piu’ anziane andavano rispettate come se fossero davvero degli zii e ai genitori si dava del voi.
Gli zii cacciatori erano tutti, o quasi, dei fuoriclasse degni di partecipare alle Olimpidi nel tiro a piattello.
I tordi, spinti dalla voria (vento) sfrecciavano in alto, tra i trenta ed i cinquanta metri.
Vi assicuro che non era affatto semplice colpire con una fucilata un qualcosa grande come il palmo della mano che solca il cielo come se fosse una Ferrari.
I poveri tordi cadevano per lo piu’ con la prima canna, poi, eventualmente, arrivava anche la seconda botta.
Se non cadevano la “colpa” era sempre dalla cartuccia mal calibrata.
Di quei tempi gli zii cacciatori si caricavano le cartucce da soli, avevano tutti gli attrezzi per misurare la polvere ed i pallini.
Oggi sul Monte Pugliano non si spara piu’, i tordi possono rincasare senza pericoli, su quel monte hanno tracciato sentieri da percorrere a piedi e sulle muntain bike
Non lontano dall’arrivo della tappa di sabato c’e’ Pietraroja, un paesetto dove gli zii con le scoppette (fucili) andavano ad impallinare le quaglie nascoste nella restuccia del grano falciato.
Nei pressi di Pietraroja fu rinvenuto Ciro, un cucciolo di dinosauro campato l’altro ieri, 113 milioni di anni fa.
Poco lontano dal Jurassic Park di Pietraroja c’e’ manche la Grotta dei Briganti.
La spelonca si trova sul Monte Cigno ed e’ raggiungibile soltanto dall’alto tramite funi per scendere e arrampicarsi.
I briganti dell’epoca post Garibaldi in effetti erano nostalgici del Regno dei Borboni ribellatisi ai Savoia per le promesse mancate aggiunte ai soprusi ed ai massacri dell’esercito piemontese.
Quei rivoltisi sono passati alla storia come volgari briganti mentre in effetti erano guerriglieri di quella che fu la prima guerra civile italiana i cui effetti si sentono ancora oggi.
La grande emigrazione del sud inizio’ proprio negli anni post annessione. In un sud spogliato delle sue risorse e dissanguato da tasse ed imposte assurde era impossibile campare dignitosamente.
Ed allora i paesi si svuotarono e le carrette di mare partirono per terre assai luntane.
Lo avrete capito, la nostalgia dell’Italia a volte prende alla gola.
*nicolasparano.com
*Nella foto, lo striscione di Via CP Telesino; mio cognato Ciccio Petrillo davanti a casa Sparano.
*Vaccinato sul campo di Giovinco la prima volta fu 70 anni orsono
Zacchete, dopo settant’anni sono vaccinato ancora.
La puntura di oggi, marca “puffete” o qualcosa di simile, deve, dovrebbe, speriamo, preghiamo, mettermi al sicuro dalla pandemia o pestilenza che sia.
Questa e’ stata la protezione medica, prima mi ero attaccato a quella scaramantica attraverso la mascherina Kitemmuort Kovid che vedete nella foto appena sopra la siringa.
Dicevo, mi sono vaccinato per la seconda volta.
La prima volta fu quando ero uno scavezzacollo, inizio Anni 50.
Allora si aveva una fifa tremenda di vaiolo, varricella, morbillo, tubercolosi e schifezze assortite.
In quella circostanza usarono un pennino biforcuto immergendolo prima nel liquido del vaccino e poi facendo un graffio profondo sul braccio.
Una vera piccola ferita e l’organismo riparava il danno con una cicatrice di forma circolare.
Quella cicatrice non ha un nome particolare, ma ricordo vagamente un termine: “a nesta” o qualcosa di simile.
Quel vecchio graffio a doppia corsia ha sempre funzionato, speriamo faccia lo stesso anche questo che e’ stato affondato due centrimetri sotto l’antico cerchio.
Il mio amico Mimmo Porpiglia aveva detto che a Miami aveva trovato una organizzazione perfetta quando si presento’ per la prima siringa.
Anche da noi, a Toronto, non si scherza.
I politici hanno fatto un casino nell’ordinare vaccini sufficenti per tutti e nel gestire la pandemia chiudendo ed aprendo la citta’ come se fosse una fisarmonica.
Comunque, ora che i vaccini sono qui, l’inoculazione procede a gonfie vele.
Almeno da quello che ho sperimentato di persona, of course.
Il personale del centro di vaccinazione contiguo all’aeroporto di Downsiew (Sheppard-Keele) era numerosissimo e cordiale.
Mai ho incontrato impegati, diciamo statali, che ti guidano e consigliano con il sorriso sulla bocca, pronti e disposti a metterti a tuo agio senza mandarti nel paese dei vaffa.
I controlli sono stati rapidi, efficienti.
C’e’ stato da riempire un formulario con domande relative al Covid.
Una riguardava le donne in stato interessante.
“Papa’ sei incinto?”, ha chiesto in italiano una ragazza che accompagnava il genitore.
La battuta ha fatto sorridere non solo il padre ma quelli che hanno capito l’italiano.
Per l’inizione mi hanno mandato al tavolo numero 21 che era sistemato proprio al limite dell’area di rigore.
Il centro era, infatti, sul campo di calcio in erba sintetica dove si e’ allenato Giovinco negli anni belli di una volta.
Mentre mi pungevano ho cercato sull’erba che non e’ erba le impronte dei tacchetti della Formica Atomica.
Non c’erano, naturalmente.
Sono sparite che speriamo sparisca questo stramaledetto virus che ha rubato un anno prezioso a tutti, specialamente a coloro che hanno il serbatoio pericolosamente vicino alla zona rossa.
*Nelle foto, 1) la siringa affonda immediatamente sotto la cicatrice a forma di cerchio vecchia di 70 anni, piu’ sopra la mascherina anti Covid “Kitemmuort Kovid” nata dal testo dello scrivente e dalle forbici di Nino Cioppa.
2) Una scolaresca degli Anni fine 40 quando c’era da combattare vaiolo e tubercolosi.
L’ultima insulsaggine di Vittorio Sgarbi
tolgo la maschera perche’ ho il cancro
Non so ne’ mi interessa sapere a quale partito appartiene il deputato Vittorio Sgarbi.
Quello che dice, in Parlamento e’ incredibile per l’insulsaggine dei suoi sciocchi discorsi.
Sarei curioso di sapere da quelle persone che lo hanno votato cosa ne pensano della sua ultima stupidata.
Oggi in Parlamento ha detto: “Chiedo di parlare senza mascherina perche’ ho il cancro”.
Il presidente della seduta lo ha zittito: “Ora la mantenga, le faro’ sapere”.
Il succo del discorso e’ che in Parlamento si dovrebbe discutere di cose serie, del Covid per esempio, e non di insulsaggini che fanno perdere tempo, e possibilmente irritare chi le ascolta.
Inoltre, ma come fa colui che passa per una persona colta ed erudita ad esprimersi con parlocce e, soprattutto, a continuare l’assurda battaglia contro le mascherine?
In che mondo vive?
Non vede che in Italia si continua a morire, che le ondate si susseguono alle ondate proprio perche’ la parte strafottente della popolazione non si comporta come le regole sanitarie impongono?
Esiste un qualcosa per cacciarlo, magari offrirgli la sedia di sindaco a Timbuctu o nella Terra del fuoco?
*Nella foto, una caricatore del palloso onorevole
Io ho due indici, come voi suppongo.
Il dito indice e’ il secondo della mano, viene dopo il dito grosso e prima di quello che si alza per mandare qualcuno nel paese dei vaffa.
Sul mio indice destro e’ cresciuto un callo, idem sul sinistro.
Gli altri sono restati come sempre ma senza escrenze cutanee supplementari.
Ma perche’, vi starete chiedendo, questo animale umano (io) ha i calli soltanto su due delle dieci dita che la natura, il Padreterno, o tutti e due, gli hanno regalato?
La ragione sta tutta nella tastiera della sputaparole, la macchina da scrivere, quella di una volta e quella moderna, il computer.
Una volta, nei sotterranei della vitaccia mia, ero appredista librario.
Nel negozio si vendevano soprattutto testi della scuola media e delle superiori.
Io ero incaricato di tenere conto delle vendite, schedando titolo del libro, prezzo, nome e indirizzo dell’acquirente, se aveva pagato sull’unghia o se era da iscrivere nel registro dei paghero’.
A quei tempi riempire le cartellette di dati non era “social profiling”, il termine non era stato ancora inventato, in ogni caso a nessuno – polizia, banche, corporation o mariuli che fossero – interessava sapere nome, indirizzo e preferenze letterarie del popolo.
Ero incaricato di trascrivere i dati usando una matusalemme di Olivetti.
L’attrezzo in questione aveva una decina di tasti fuori linea.
Il nastro, poi.
Si inceppava appena si spingeva quella specie di non… mi ricordo come si chiama… che si doveva muovere per passare dalla riga appena scritta a quella sottostante da scrivere.
Il nastro era bicolore ed era, se il cervello non mi e’ andato ancora in tilt, tifoso del Milan perche’ era rosso sopra e nero sotto, o viceversa.
Quando si oggrovigliava era necessario intervenire con le dita, che regolarmente si sporcavano dell’inchiostro senza il quale sarebbe stato impossibile stampare le lettere sul foglio di carta inserito nel rullo.
Avuto l’incarico, dovevo svolgerlo.
C’era pero’ un grosso problema, la macchina da scrivere l’avevo vista solo in fotografia e al cinema.
La gente del sud e’ comunque abituata ad arrangiarsi, ed io pure.
Cosi’ presi il toro per le corna, si fa per dire, e con l’indice destro diedi una botta secca al circoletto della tastiera che aveva la G in testa.
L’acquirente del testo di matematica della seconda media era lo scarparo Totonno Girolamo, che voleva far prendere la laurea al figlio Ciccio.
Con l’indice sinistro consegnai alla storia la seconda lettera, era la vocale I, del cognome del calazolaio.
Poi da indice ad indice completai la cartella.
Siccome il lavoro era venuto buono con tendenza alla perfezione, baciai la punta delle due dita e mi proposi di apprendere come fare ad usarle tutte e dieci contemporaneamente.
Con mio sommo imbarazzo, ancora non ci sono riuscito.
Eppure sono trascorse sei decadi, anno piu’ anno meno.
La fortuna, alcuni direbbero il gran culo, mi ha poi fatto diventare reporter, oserei dire, se permettete, giornalista.
Cio’ significa che ho sempre avuto rapporti intimi con le diverse sputaparole del momento (Olivetti, IBM e tastiera del computer).
Ma ho sempre scritto con due dita.
Mai pero’ con la frequenza di questo fetentissimo anno che ha cambiato la vitaccia di tutti.
Di mattino, dopo una rapida occhiata ai girnali on line, resto al computer.
Apro il Word Processor.
Il marchingeno, non saprei come definirlo altrimenti, e’ un quaderno virtuale con pagine quante ne vuoi, tutte senza righe e pronte all’uso.
Scrivere e’ facile, basta avere qualcosa da dire.
Anche se a corto di idee, mi invento il soggetto osservando da casa mia quello che posso.
Ieri ho parlato delle luci intermettenti in una finestra (non sono andato ancora a bussare, sorry).
Domani, o chissa’ quando, vi parlero’ di Capitan Mike (ricordate il fumetto con il Dottor Salasso e Doppio Rum?) che sarebbe un raccoon che passa la giornata dormendo su un albero della ravine dietro casa.
Lo osservo col binocolo, cerco di capire se, e come, lo stramaledetto Covid ha cambiato la sua vita animalesca.
Non tanto, probabilmente.
Ma questo e’ un argomento per il futuro, ora ho altri progetti diciamo letterari per le mani.
Ho iniziato, udite udite, un romanzo basato su un fatto di cronaca avvenuto a Toronto ne 1969.
Fino ad ora mi sono uscite dal cervello quasi venticinquemila parole.
Ne occorrono almeno altrettante.
Prima, pero’, vado a fare una passeggiata solitaria nel parco sotto casa.
Cosi faccio contenta la signora e concedo un dovuto riposo ai calli degli indici e del fondo della schiena.
Ah, dimenticavo.
A me stare seduto ore ed ore indurisce, di fa per dire, quel posto dove i raggi del sole non arriverebbero mai.
Quanto e’ duro il vostro sofa’?
*Ammanettati per non lasciarsi
Gli scappa la pipi’, l’arbitro la fa in campo In due in casa da un anno.
Le persone normali lo stanno facendo, obtorto collo, malvolentieri.
Ma ogni regola ha la sua eccezione.
L’anomalia in questione si sta verficando in un appartamento di Kiev (Ucraina).
Covid o non Covid due fidanzati l’hanno pensata fuori dalle righe.
Si sono ammanettati il giorno di San Valentino ed hanno buttato la chiave.
Perche’?
«Ci lasciavamo una o due volte a settimana», ha spiegato Alexandr.
Quando un giorno Viktoria disse che stavolta se ne andava per sempre, lui gli rispose: «Allora ti legherò a me stesso».
Tiro’ fuori le manette.
A Victoria la trovata piacque, offri’ il polso.
Da allora stanno campando, giorno dopo giorno, vicini vicini.
Attaccati l’uno all’altra riescono a gestire meglio i laro conflitti, il che significa si accapigliano piu’ amichevolmente.
Con i braccialetti ai polsi fanno tutto inisieme, eccetto nel momento dei bisogni.
Quando uno di loro va in bagno, l’altro aspetta fuori dalla porta con la mano dentro.
Il vivere ammanettati 24 ore su 24 non pregiudica le loro attività lavorative dal momento che entrambi lavorano da casa.
La coppia ha anche appositamente modificato gli abiti per vestirsi e svestirsi senza rendere tutto questo impossibile dall’ostacolo attaccato ai poli.
Non e’ stato detto se vanno fuori, almeno a fare la spesa, o a visitare i suoceri.
In ogni caso, l’esperimento sta funzionando, almeno sembra, e terminera’ a meta’ maggio.
Un consiglio a me stesso: non provarci.
Mi scappa la pipi’, arbitro la fa in campo
La notizia, la foto ed anche il video dell’arbitro che fa la pipi’ in campo senza abbassarsi i pantalocinini, ha scattato l’interuttore di due ricordi, uno del passato remoto, l’altro piu’ remoto ancora.
Una gloriosa sera di circa 40 anni or sono, Luigi Sabatini, detto Gigi l’amoroso, ci stava intrattenendo nel suo ristorante di St. Clair, con le sue classiche strimpellate.
Ad un certo punto canto’ anche per i bambini e intonando Mi Scappa la Pipi’.
Ricordo ancora l’espressione di mio figlio Marco, avra’ quattro anni, che prima sgrano’ gli occhi poi corse in bagno…
Il secondo flashback e’ dei tempi di Matusalemme, inzio Anni 60.
Il Telese di allora era una squadretta della categoria tra la Vi e la Zeta.
Pero’ andavamo in tournee’, ossia a volte ci invitavano a giocare nei paesi dei dintorni il giorno della festa del santo patrono.
Non ricordo il paese, forse era Dugenta, non ricordo contro chi giocammo.
Ricordo che il terremo di gioco era piu’ o meno un campo di patate, senza spogliatoi.
Non c’era nemmeno un pollaio, o una stalla nelle vicinaze.
Per cambiarci la squadra si dispose a cerchio serrato, spalla a spalla e, a turno, ci cambiammo.
Quando fu il turno di uno di noi, forse Smith o piu’ probabilmente Bartone, non ce la fece a tenerla.
Fece la pipi’, piu’ o meno in pubblico, per dispetto.
Quella partita poi la vincemmo 1-0, grazie ad una mia rete che ricordero’ per sempre perche’ fu l’unica, nella mia poco gloriosa carriera, che segnai di testa semplicemente perche’ mi trovai , senza volerlo, con il cranio sulla traettoria spiovente di una palla caduta dal cielo.
Fa pipì con noncuranza
La scena è incredibile.
È accaduto giovedì 11 marzo, in Brasile, poco prima del calcio d’inizio della partita Goiás-Boavista (1-3), valida per la prima fase della Copa do Brasil.
Protagonista della vicenda Dénis da Silva Ribeiro, catturato dalle telecamere intento a fare la pipì, senza abbassarsi i pantaloncini.
Come testimoniano le immagini, Dénis da Silva Ribeiro, con una certa disinvoltura, fa i suoi bisogni come se nulla fosse.
La scena non è ovviamente passata inosservata agli utenti dei social network che si sono scatenati. Sono tanti i commenti ironici, soprattutto di Twitter, dove la scena è stata condivisa da moltissimi account.
Alcuni hanno suggerito che Ribeiro fosse sceso in campo con la vescica strapiena di rum.
E c’e’ chi si e’ chiesto come mai, essendo lui in charge, non sia andato a fare il bisognino laddove si fanno, in bagno. Tanto senza di lui la partita non poteva iniziare.
Naturalmente anche molti pedatori hanno fatto la pipi’ in campo, in Italia e fuori.
Nessun calociatore l’ha fatta pero’ con tanta noncuranza dell’arbitro, alcuni si nascondevano deuitro un apolo, altri si facevano scudo dei compagni. In un caso c’e’ stato chi si e’ seduto sul terreno di gioco ed ha orinato alzando il pantolocino di lato.
Spigolado: Ammanettati per non lasciarsi
Gli scappa la pipi’, l’arbitro la fa in campo
In due in casa da un anno.
Le persone normali lo stanno facendo, obtorto collo, malvolentieri.
Ma ogni regola ha la sua eccezione.
L’anomalia in questione si sta verficando in un appartamento di Kiev (Ucraina).
Covid o non Covid due fidanzati l’hanno pensata fuori dalle righe.
Si sono ammanettati il giorno di San Valentino ed hanno buttato la chiave.
Perche’?
«Ci lasciavamo una o due volte a settimana», ha spiegato Alexandr.
Quando un giorno Viktoria disse che stavolta se ne andava per sempre, lui gli rispose: «Allora ti legherò a me stesso».
Tiro’ fuori le manette.
A Victoria la trovata piacque, offri’ il polso.
Da allora stanno campando, giorno dopo giorno, vicini vicini.
Attaccati l’uno all’altra riescono a gestire meglio i laro conflitti, il che significa si accapigliano piu’ amichevolmente.
Con i braccialetti ai polsi fanno tutto inisieme, eccetto nel momento dei bisogni.
Quando uno di loro va in bagno, l’altro aspetta fuori dalla porta con la mano dentro.
Il vivere ammanettati 24 ore su 24 non pregiudica le loro attività lavorative dal momento che entrambi lavorano da casa.
La coppia ha anche appositamente modificato gli abiti per vestirsi e svestirsi senza rendere tutto questo impossibile dall’ostacolo attaccato ai poli.
Non e’ stato detto se vanno fuori, almeno a fare la spesa, o a visitare i suoceri.
In ogni caso, l’esperimento sta funzionando, almeno sembra, e terminera’ a meta’ maggio.
Un consiglio a me stesso: non provarci.
Mi scappa la pipi’, arbitro la fa in campo
La notizia, la foto ed anche il video dell’arbitro che fa la pipi’ in campo senza abbassarsi i pantalocinini, ha scattato l’interuttore di due ricordi, uno del passato remoto, l’altro piu’ remoto ancora.
Una gloriosa sera di circa 40 anni or sono, Luigi Sabatini, detto Gigi l’amoroso, ci stava intrattenendo nel suo ristorante di St. Clair, con le sue classiche strimpellate.
Ad un certo punto canto’ anche per i bambini e intonando Mi Scappa la Pipi’.
Ricordo ancora l’espressione di mio figlio Marco, avra’ quattro anni, che prima sgrano’ gli occhi poi corse in bagno…
Il secondo flashback e’ dei tempi di Matusalemme, inzio Anni 60.
Il Telese di allora era una squadretta della categoria tra la Vi e la Zeta.
Pero’ andavamo in tournee’, ossia a volte ci invitavano a giocare nei paesi dei dintorni il giorno della festa del santo patrono.
Non ricordo il paese, forse era Dugenta, non ricordo contro chi giocammo.
Ricordo che il terremo di gioco era piu’ o meno un campo di patate, senza spogliatoi.
Non c’era nemmeno un pollaio, o una stalla nelle vicinaze.
Per cambiarci la squadra si dispose a cerchio serrato, spalla a spalla e, a turno, ci cambiammo.
Quando fu il turno di uno di noi, forse Smith o piu’ probabilmente Bartone, non ce la fece a tenerla.
Fece la pipi’, piu’ o meno in pubblico, per dispetto.
Quella partita poi la vincemmo 1-0, grazie ad una mia rete che ricordero’ per sempre perche’ fu l’unica, nella mia poco gloriosa carriera, che segnai di testa semplicemente perche’ mi trovai , senza volerlo, con il cranio sulla traettoria spiovente di una palla caduta dal cielo.
Fa pipì con noncuranza
La scena è incredibile.
È accaduto giovedì 11 marzo, in Brasile, poco prima del calcio d’inizio della partita Goiás-Boavista (1-3), valida per la prima fase della Copa do Brasil.
Protagonista della vicenda Dénis da Silva Ribeiro, catturato dalle telecamere intento a fare la pipì, senza abbassarsi i pantaloncini.
Come testimoniano le immagini, Dénis da Silva Ribeiro, con una certa disinvoltura, fa i suoi bisogni come se nulla fosse.
La scena non è ovviamente passata inosservata agli utenti dei social network che si sono scatenati. Sono tanti i commenti ironici, soprattutto di Twitter, dove la scena è stata condivisa da moltissimi account.
Alcuni hanno suggerito che Ribeiro fosse sceso in campo con la vescica strapiena di rum.
E c’e’ chi si e’ chiesto come mai, essendo lui in charge, non sia andato a fare il bisognino laddove si fanno, in bagno. Tanto senza di lui la partita non poteva iniziare.
Naturalmente anche molti pedatori hanno fatto la pipi’ in campo, in Italia e fuori.
Nessun calociatore l’ha fatta pero’ con tanta noncuranza dell’arbitro, alcuni si nascondevano deuitro un apolo, altri si facevano scudo dei compagni. In un caso c’e’ stato chi si e’ seduto sul terreno di gioco ed ha orinato alzando il pantolocino di lato
Per la generazione Z il calcio (comincia a stufare anche gli altri)
Tutto il calcio è noia: la generazione Z vuole solo gli highlights
Con Generazione Z, si indica la generazione di ragazzi nati a cavallo tra la seconda metà degli anni novanta (1996) e il primo decennio del nuovo millennio (2010).
Questi sbarbatelli, si fa dire, hanno la capacita’ di concentrazione, attention span, sufficiente a far premere un pulsante del marchingeno elettronico che hanno costantemente in mano.
La generazione Z, praticamente, non ha la pazenza di assistere a tutta la partita, o la capacita’ di capire chi sta giocando meglio e perche’.
Quindi, zacchete, azioni salienti e gol sono serviti.
Per dirla fuori dai denti, a trovare noioso il calcio non sono soltanto i giovani dell’ultima lettera dell’alfabeto italiano.
Cominciano stufarsi anche anche coloro che sono della generazione L/M (lettere a meta’ dell’abbecedario), come a dire le generazioni nate all’incirca alla meta’ secolo.
Si resiste alla noia di una gara mediocre soprattutto per il tifo pro o contro una delle due contendenti.
Se non “tieni” per nessuna delle due e se giocano maluccio, uno come il sottoscritto finisce per farsi una pennichella a gara in corsa.
Troppe partite, io a volte ne guardo due contemporaneamente, una sul computer l’altra sulla Tv).
Troppi tuffi, troppi lamenti, troppi errori arbitrali.
La Var poi, quella, e’ indecifrabile per come la utilizzano, una volta cosi’ l’altra cola’.
Gli allenatori invece di starsene zitti, fermi e attenti a seguire la partita per individuare i punti deboli degli avversari imitano gli scimpaze’ in calore: sbraitano, zompicchiano, si strappano i capelli, parlottano con il quarto uomo e hanno sempre un dito puntato ad indicare qualcosa o qualcuno.
Ma chi li ascolta gli urli, chi segue la direzione di quel dito medio puntato in avanti?
Nessuno dei media, a quanto mi e’ dato di capire, ha mai fatto un’indagine sugli effetti degli urli del tecnico: aiutano davvero il calciatore, o lo mandano in confusione?
Un’ultima annotazione sui tecnici.
Avete notato che quando piove tutti, o quasi, sono a capo scoperto?
Non e’ che un cappello limiti la visuale.
Allora, perche’ a capo scoperto?
Lo fanno, ci scommetterei la casa, perche’ vogliono dire ai propri calciatori e ai tifosi: Io sono un uomo tosto, un po’ d’acqua non mi ferma.
La durezza dei tecnici dipende, a mio modo di vedere, da come sfrutta al meglio la rosa che ha disposizione e di come cambia tattica a gara in corsa quando il suo team e’ in difficolta’ e per come gestisce lo sppogliatoio mantenendo pace, armonia e rispetto.
La vita calcistica di un tecnico e’ di breve durata, breve ma dorata nel senso che tutti hanno il paracadute milionario in caso di esonero.
Capita spesso che un allenatore venga esonerato l’anno dopo una magnifica stagione, o che non sia pronto al salto di qualita’ tra un club piccolo ed uno grande.
Giampaolo, per fare un esempio, e’ stato cacciato due volte in rapida successione, prima dal Milan poi dal Torino
Il fattore determinante alla caduta di un tecnico e’ la pfressione, l’impellenza di vincere subito e comunque.
La pressione e’ una cattiva consigliera anche per presidenti, direttori sportivi e compagni bella.
Avere un giocatore inesperto, ma di buone doti mentali e fisiche, e non aspettare maturi e faccia cambiare marcia alla squadra e’ un crimine calcistico.
Prendiamo, tanto per fare un esempio, Zapata e Osimehn.
Zapata e’ stato nel Napoli per due stagioni, 2013 e 2014, quando Higuain fuoreggiava in azzurro.
Dissero che Zapata era giovane e non adatto al gioco del Napoli, ando’ in prestito all’Udinese, e la salvo’ dalla retrocessione, poi approdo’ all’Atalanta dove e’ diventato goleador, leader, uo mo ovunque.
Osimhen e’ costato una barca di quattrini, e’ giovane, e’ talentuso ma deve ancora abituarsi a come lo marcano in Serie A.
Se non ha testa di un Balotelli e gli fanno mettere un po’ di muscoli nelle cosce e nel petto, potrebbe diventare un nuovo Zapata.
A patto che De Laufrentiis smetta di scavare il terreno sotto i piedi del suo allenatore, come ha fatto con Gattuso.