Resa e fuga in Afghanistan

by | Aug 28, 2021 | ASIA, Giuseppe Cafiso, POLITICS | 0 comments

La storia delle occupazioni e delle colonizzazioni che ha subito la gente afghana è lunga e insegna molto: oggi non sembra ma arriverà presto il tempo in cui il gran circo mediatico che in questo tremendo agosto tiene accesi i riflettori seguirà ancora una volta la sua parabola. Sull’Afghanistan calerà di nuovo il silenzio, come dopo la sconfitta dell’URSS o durante il passato regime dei talebani (1996-2001). Il silenzio coprirà la vergogna di 20 anni di missioni militari approvate da tutti i governi dei paesi occidentali, di qualsiasi colore fossero, che ora lasciano il popolo afghano, in particolare le donne, nelle mani di brutali fondamentalisti. In questi 20 anni di cosiddetta “liberazione”, le donne afghane hanno continuato a subire violenze, stupri, matrimoni forzati e precoci, assenza di istruzione (l’87% di loro è analfabeta) e di sanità.

An afghan security official stands guard at check point, in Jalalabad, Afghanistan, 27 July 2021. The Taliban on 27 July condemned the United States’ decision to continue offering air support to Afghan security forces even after the withdrawal of international troops from the country, which has allowed the insurgents to make rapid territorial gains. The withdrawal of US and NATO troops, set to be completed by late August, was part of the agreement signed last year in Doha by Washington and the Taliban. As part of the deal, the US had agreed to completely pull out from Afghan soil and the rebels had agreed to hold a dialog with the Afghan government for a political resolution to the war. EPA/GHULAMULLAH HABIBI

Ma non solo, il sottosuolo dell’Afghanistan è ricco di minerali particolari, assolutamente necessari per l’industria elettronica che crea i famosi microchips che vengono utilizzati in tutti i settori della robotistica, telefonia e quant’altro. Le guerre coloniali che miravano ad impossessarsi del Paese, dagli inglesi, ai sovietici ed in ultimo agli americani, ora dovranno cedere il passo alla presenza cinese che avrà certamente rapporti privilegiati con i talebani. Sappiamo bene l’importanza della Cina nel settore dell’elettronica e questo costituisce il motivo principale dell’assenza cinese nelle guerre consumate su quel territorio.

Ciò che appare difficile comprendere è la incapacità degli americani ad indovinare ruoli ed iniziative in tutti i Paesi di religione islamica. Da oltre vent’anni gli USA non ne combinano una di accettabile. Nel Kuwait prima, quindi in Iraq, in Libia, in Siria hanno inanellato una serie impressionante di fallimenti spettacolari. La pretesa di imporre agli altri la propria supremazia economica e culturale, l’esportazione di una democrazia imperfetta, lo sfruttamento del sottosuolo con petrolio, gas e minerali in territori in Paesi diversi dal proprio, rappresentano una nuova forma di imperialismo e colonialismo nel senso più deteriore del termine. È lo sfruttamento delle aree povere, la voglia di sottomettere tutti ai propri desiderata, sono la miccia più pericolosa per accendere il terrorismo e gli attentati anche nei paesi occidentali. Nella guerra del Vietnam degli anni sessanta e settanta, gli Stati Uniti intrapresero una “crociata” contro il comunismo non capendo che combattevano anche contro forti sentimenti di nazionalismo e anti-colonialismo. Ancora oggi i politici americani non capiscono che dietro la facciata ultra-ortodossa islamica vi è anche un forte volere di essere indipendenti da forze straniere.

Essere restati oltre venti anni in Afghanistan per poi restituire il Paese ai talebani rappresenta di per sé un grave crimine contro i diritti civili e di libertà di quel popolo. Ora in Afghanistan si tornerà al medio-evo, verranno calpestati i diritti delle donne, represso il dissenso, impedito l’insegnamento laico ma consentito solo quella religioso, il ripristino della sharia, con dilapidazioni e mutilazioni, con la fine di ogni diritto civile. Sarà impedito perfino l’ascolto della musica. Bel risultato signori americani!

Non essere riusciti in un ventennio a rimettere su un Paese distrutto da decenni di guerre coloniali, significa che l’obbiettivo americano era un altro. La presenza militare in un’area geografica può avere senso se ha lo scopo di far progredire e di sostenere concretamente quelle popolazioni con la costruzione di ospedali, scuole, strade e tante altre infrastrutture. In più, bisognava investire sulla formazione di una cultura politica che rispettava le tradizioni e usanze locali. Invece si è preferito aiutare i signori della guerra, i capi-tribù, i governanti corrotti del momento e non certamente far uscire il Paese dalla grave crisi che da sempre lo attanaglia. Risulta evidente che in quei popoli il senso di giustizia e partecipazione alle scelte politiche, e molto diverso dal nostro, ma in vent’anni poteva essere fatto molto nel creare nuove classi dirigenti e non sostenere lautamente le tribù.

Lo spettacolo straziante di quanto avviene all’aeroporto di Kabul, con le madri che affidano i figli a militari sconosciuti, ci dovrebbe indurre a pensare. Nessuna guerra ha mai portato benefici ai popoli, ma farla per peggiorare la situazione è ancora più grave.